Tribunale Roma 2015 - Natura versamenti soci in conto futuro aumento del capitale sociale
Segnalazioni Novità Giurisprudenziali
Cnn 4 giugno 2015
IL TRIBUNALE DI ROMA FA IL PUNTO SUI VERSAMENTI DEI SOCI IN CONTO FUTURO AUMENTO DI CAPITALE (Trib. Roma, sentenza 12 marzo 2015)
Il Tribunale di Roma, sez. III civile, con sentenza del 3 febbraio 2015, depositata il 12 marzo 2015, affronta diffusamente il tema dei versamenti dei soci in conto futuro aumento di capitale, esaminandone la natura, le diverse tipologie e soffermandosi sui limiti alla tutela restitutoria per il socio. Si tratta di una pronuncia che, invero, non sembra connotarsi per una particolare innovatività ma che, tuttavia, fornisce un utile quadro d’insieme delle conclusioni cui è pervenuta la giurisprudenza di legittimità sul tema del versamento dei soci.
Nel dispositivo si evidenza come «quanto alla natura e “sorte” dei versamenti in conto aumento di capitale eseguiti dai soci in favore delle società partecipate, ed in merito ai diritti dei medesimi soci sulle somme così versate», sia «ormai, oltremodo diffuso nella prassi, soprattutto nell’ambito delle società di capitali a ristretta base personale o sottocapitalizzate, il fenomeno degli apporti finanziari eseguiti dai soci, in favore delle società partecipate, al di fuori degli schemi giuridici formali previsti dal codice civile; versamenti, dunque, non riconducibili ai conferimenti in senso tecnico effettuati in sede di costituzione della società o all’esito della sottoscrizione di un aumento di capitale già deliberato, ma neppure qualificabili come meri finanziamenti soggetti a rimborso».
Riprendendo pedissequamente quanto affermato dalla Cassazione nella sentenza 19 marzo 1996, n. 2314 (in Riv. dir. comm., 1996, II, 329; in Vita not., 1997, 316 e in Società, 1996, 1267) «tra l'ipotesi dell'erogazione di fondi dal socio alla società a titolo di mutuo e quella del formale conferimento a titolo di aumento di capitale (già deliberato), la prassi è andata da tempo elaborando una terza via, costituita da versamenti, variamente denominati, la cui comune caratteristica consiste nell'essere destinati ad incrementare il patrimonio della società - talvolta anche sotto forma di copertura di perdite - senza però riflettersi (almeno, non immediatamente) sul capitale nominale della società stessa e senza perciò essere sottoposti ai vincoli legali propri del capitale sociale in senso stretto».
Secondo il Tribunale di Roma, quindi, «i versamenti dei soci in conto futuro aumento del capitale sociale vanno ricondotti proprio nella categoria degli apporti finanziari che si traducono in un incremento del solo patrimonio netto della società e non sono imputabili al capitale, salvo che, con apposita delibera assembleare di modifica dell'atto costitutivo, non ne venga disposto successivamente l'utilizzo per un aumento del capitale sociale».
Ripercorrendo l’iter di una successiva pronuncia della Suprema Corte (Cass. 24 luglio 2007, n. 16393, in Riv. not., 2009, 1058; in Giur. comm., 2009, II, 42; in Riv. dir. comm., 2008, II, 137 e in Foro it., 2008, I, 2244) si sottolinea come, in via ordinaria i cennati versamenti, non essendo imputabili a capitale, «una volta eseguiti vanno a costituire una riserva - non di utili ma di capitale - soggetta alla stessa disciplina della riserva da sovrapprezzo, seppure personalizzata o targata, in quanto di esclusiva pertinenza dei soci che hanno effettuato i versamenti in relazione all'entità delle somme di ciascuno erogate».
Pertanto, «una volta che le somme in conto capitale siano confluite nel coacervo del patrimonio comune è escluso che i soci eroganti, finché dura la società, possano esercitare pretese restitutorie»; quindi, «a differenza dei finanziamenti, i versamenti in questione non generano crediti esigibili», «possono essere utilizzati per l'aumento gratuito del capitale, con attribuzione delle azioni di nuova emissione a tutti i soci, o impiegati per l'acquisto di azioni proprie, mentre i soci eroganti possono chiedere la restituzione delle somme versate solo per effetto dello scioglimento della società e nei limiti dell'eventuale residuo attivo del bilancio di liquidazione».
Va, tuttavia, evidenziato che – come pure precisato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione – anche a fronte di un versamento in conto futuro aumento di capitale, il socio erogante può far valere il diritto alla restituzione dell’apporto eseguito prima dello scioglimento della società, e la stessa società può trovarsi a dover "stornare" le somme ricevute dalle riserve per appostarle e contabilizzarle tra i debiti. Ciò accade allorquando emerga, in termini inequivoci, la volontà concorde degli interessati (soci eroganti e società) di ancorare l’apporto finanziario ad una specifica e già programmata operazione di aumento del capitale sociale (v., sul punto, Cass. 14 aprile 2006, n. 8876, inForo it., 2007, I, 3217; ancora, Cass. 30 marzo 2007, n. 7980, in Riv. not., 2008, 176 e in Foro it., 2008, 4, I, 1237).
In proposito, prosegue il Tribunale di Roma, la Suprema Corte ha precisato che, nell’ampia categoria degli apporti finanziari dei soci destinati ad incrementare il patrimonio della società, occorre distinguere tra i versamenti genericamente effettuati in conto capitale e quelli che si riferiscono ad un futuro e ben determinato aumento del capitale sociale. I primi costituiscono indubbiamente apporti di patrimonio dei quali la società è libera di disporre come di qualsiasi altra riserva (anche, ma non necessariamente, adoperandoli in futuro per aumentare il capitale nominale), senza che possa venire in questione alcun diritto al rimborso del socio fin quando non sia stata liquidata l'impresa collettiva; la situazione si presenta in termini diversi nella seconda delle due fattispecie sopra ipotizzate.
Segnatamente, nel caso in cui "le parti abbiano stabilito un chiaro collegamento causale tra il versamento eseguito dal socio ed un prossimo aumento del capitale sociale, è in genere da ritenere che esse abbiano inteso condizionare risolutivamente l'acquisizione patrimoniale della società alla futura deliberazione di aumento del capitale nominale. Il versamento eseguito dal socio sarà pertanto, in tal caso, solo provvisoriamente da includere tra le riserve e dovrà poi, ove l'assemblea effettivamente deliberi l'ipotizzato aumento del capitale nominale della società, rifluire in quest'ultima posta di bilancio ed assumere i caratteri tipici del conferimento di capitale (in senso giuridico). Ma se, viceversa, l'aumento non dovesse esser deliberato dall'assemblea (la quale, ovviamente, è del tutto libera nelle sue determinazioni), il socio avrà diritto alla restituzione di quanto versato [...] per essere venuta successivamente meno la causa giustificativa dell'attribuzione patrimoniale da lui eseguita in favore della società" (in tal senso Cass. Civ., Sez. I, 19 marzo 1996, n. 2314).
Si tratta, peraltro, di un orientamento ribadito anche in successive pronunce, laddove, ad esempio, si evidenzia come mentre «in taluni casi la mancata imputazione a capitale dell'apporto finanziario del "socio è sine die, nel senso che - nella prospettiva del conferente (si tratta in effetti, per questo verso, essenzialmente di una quaestio voluntatis) - l'apporto stesso è stabilmente destinato ad accrescere i "mezzi propri" della società senza alcuna contemporanea variazione del capitale nominale (fattispecie alla quale si attaglia, in senso più ristretto e tecnico, la qualificazione di "versamenti in conto capitale"); in altri casi, invece, la mancata imputazione a capitale è solo temporanea, giacché il versamento resta, negli intenti, causalmente collegato ad un successivo e formale aumento del capitale, nel quale esso è destinato a confluire. I soci creano, cioè, in sostanza, un'area provvisoria di "stazionamento", eseguendo in via anticipata conferimenti corrispondenti ad un aumento di capitale già deliberato, ma non ancora sottoscritto ("versamenti in conto aumento di capitale"), ovvero semplicemente programmato e da deliberare in futuro, entro un periodo di tempo determinato o meno ("versamento in conto futuro aumento di capitale"); e ciò nella precipua ottica di dotare immediatamente la società di nuovi mezzi finanziari, ponendola in condizione di far fronte alle proprie esigenze di cassa, senza dover attendere i tempi di perfezionamento dell'operazione. In simili frangenti, si deve ritenere che il mancato aumento del capitale nel termine prestabilito (o, in difetto, fissato dal Giudice in applicazione analogica dell'art. 1183 cod. civ., comma 2), operando, a seconda dei casi, come condizione risolutiva o sospensiva, determini l'insorgenza del diritto del socio alla restituzione del versamento; salva la possibilità di interpretare la mancata attivazione tanto dei soci che della società per la restituzione - non infrequente nella pratica - come espressiva del sopravvenuto comune intento di "convertire" i versamenti in parola in "versamenti in conto capitale" (Cass. 14 aprile 2006, n. 8876, cit.).
Si pone, a questo punto, il problema fattuale, di interpretazione del caso concreto, laddove la previsione del futuro aumento del capitale nominale, cui il versamento dovrebbe essere condizionato, sia solo generica - e quindi priva di ogni indicazione della data, o almeno dell'epoca, entro la quale l'ipotizzata condizione dovrebbe verificarsi.
Anche su tale punto, il Tribunale di Roma richiama la già citata pronuncia della Suprema Corte (Cass. Civ., Sez. I, 19 marzo 1996, n. 2314), secondo la quale «s'impone la scelta tra due soluzioni alternative: o si dovrà interpretativamente ritenere che, per il fatto stesso di non aver fissato alcuna indicazione temporale, le parti abbiano in realtà inteso lasciare comunque le somme versate dal socio nella piena disponibilità della società e che, quindi, il riferimento al futuro aumento di capitale non valga a configurare una condizione risolutiva del conferimento ma serva solo a ribadire la possibilità che la società adoperi in tal senso la relativa riserva; oppure si dovrà far ricorso, in via analogica, alla disposizione dell'art. 1183 c.c., ed ammettere che il socio possa chiedere al giudice la fissazione di un termine entro il quale la società sia tenuta a riunire l'assemblea per decidere in ordine all'ipotizzato aumento del capitale nominale, così da provocare l'avveramento o il mancato avveramento della condizione cui il conferimento è risolutivamente condizionato».
Sotto il profilo dell’attività ermeneutica volta a stabilire la natura dell’apporto, la Cassazione da ultimo citata, ripresa dalla pronuncia in commento, afferma come non possa conferirsi valore decisivo alle "denominazioni adoperate", occorrendo, piuttosto, ricostruire il contenuto concreto dell'accordo intercorso tra le parti del "rapporto di conferimento" (società e soci eroganti), e ponendo attenzione anche al modo in cui concretamente è stato attuato tale rapporto: di conseguenza, nel caso in cui il materiale probatorio offerto non fornisca elementi di giudizio inequivoci, non potrà che pervenirsi al rigetto della domanda di restituzione formulata dal socio, gravando su quest'ultimo l'onere di provare che il versamento sia stato eseguito per un titolo che giustifichi la pretesa restitutoria.
In merito al caso concreto, il Tribunale di Roma afferma quindi che, laddove sia pacifico che il versamento del socio alla società sia stato effettuato non a titolo di mutuo bensì come apporto di capitale di rischio, il diritto alla restituzione delle somme erogate, prima e al di fuori del procedimento di liquidazione della società, sussiste solo qualora il conferimento sia stato risolutivamente condizionato alla mancata successiva deliberazione assembleare di aumento del capitale nominale della società e la delibera in questione non sia intervenuta entro il termine convenuto dalle parti o fissato dal giudice. Inoltre, in ossequio ai principi generali in tema di riparto dell'onere della prova, grava sul socio istante l’onere di dimostrare la volontà concorde delle parti del rapporto di conferimento circa l'apposizione della cennata condizione risolutiva.
Antonio Ruotolo e Daniela Boggiali
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TRIBUNALE DI ROMA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI ROMA
TERZA SEZIONE CIVILE
in persona del Giudice dott. Francesco Mannino ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa iscritta al n.32432 Ruolo generale degli affari contenziosi civili dell'anno 2011, avente come
Oggetto: Risarcimento danni - Mancato adempimento patto parasociale
promossa da:
TIZIO,
Attore – Convenuto in riconvenzionale
Contro
ALFA S.R.L.,
Convenuto - Attore in riconvenzionale
All’udienza del 30/9/14 le parti precisavano le conclusioni come da verbale in atti e la causa veniva posta in decisione, con l’assegnazione dei termini di legge nella loro massima estensione, per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione ritualmente notificato, TIZIO conveniva in giudizio innanzi a questo Tribunale la ALFA S.R.L..
L’attore esponeva:
-- di essere socio della “BETA S.P.A. per una quota del 45% del capitale sociale a fronte della maggiore rimanente partecipazione, pari al 55% del capitale sociale, della ALFA S.R.L.;
-- di aver impugnato una delibera societaria di aumento del capitale sociale da euro 120.000,00 a 1.300.000,00 che egli, nelle more del giudizio aveva eseguito per quanto di spettanza versando la somma di euro 584.100,00;
-- che, per effetto della sentenza del Tribunale di Roma n. 5288/2008, passata in giudicato, che aveva annullato la delibera impugnata, aveva conseguito, insieme con l’altro socio, il diritto alla restituzione della somma da ciascuna versata, pari, quanto al TIZIO, al predetto importo di euro 584.100,00 oltre accessori, tanto che le somme a ciascuno dovute erano state contabilizzate fra le poste debitorie (debiti verso soci);
-- che la Società aveva proposto, ricevendone un diniego, la restituzione frazionata in più anni;
-- che i due soci, per evitare che la dovuta restituzione in unica soluzione comportasse conseguenze negative sia sul conto economico dell’esercizio in corso sia in riferimento agli impegni già assunti verso banche e fornitori, dopo lunga trattativa, avevano raggiunto un accordo che si erano impegnate reciprocamente a far recepire, nella qualità di “terzo” rispetto agli azionisti, dalla “BETA S.P.A.” con apposite delibere dei propri organi sociali;
-- che, in particolare, con accordo del 23.12.08, avente natura parasociale e transattiva, TIZIO e la ALFA S.R.L. avevano pattuito:
a. il rimborso del debito - ammontante quanto al socio di minoranza all’importo di Euro 584.100,00, da maggiorare dei pattuiti accessori maturati e maturandi (dalle date dei singoli versamenti a titolo di sottoscrizione fino al soddisfo) - in 36 mensilità consecutive, con decorrenza dal 30.4.09, nella misura di Euro 19.100,00 ognuna (punto c., art. 1 del patto parasociale);
b. la provvisoria allocazione - a fronte di conformi autorizzazioni di entrambi i soci alla Società - dei due terzi della debitoria di cui sub a) tra le poste patrimoniali sotto la voce “versamento dei soci in conto futuro deliberando aumento del capitale sociale” (art. 2 punto aa del patto parasociale);
c. lo storno nell’anno 2010 dei detti due terzi dalle poste patrimoniali con definitiva allocazione fra i debiti, ipotizzando che, in occasione dell’approvazione del bilancio dell’esercizio 2009 da parte dell’assemblea ordinaria, si fosse verificata la condizione risolutiva rappresentata dalla mancata deliberazione, entro tale termine, da parte dell’assemblea straordinaria della formale deliberazione di aumento (art. 2 punto ab del patto parasociale);
d. la reiterazione della provvisoria riallocazione fra le riserve e successivo storno fra i debiti, nell’esercizio 2010, in rapporto all’ultimo terzo (art. 2 punto ac del patto parasociale);
-- che tale accordo era stato formalmente recepito dal Consiglio di Amministrazione della BETA S.P.A. nella seduta del 19.1.09, tanto che, sulla scorta della richiamata dichiarazione di entrambi i soci formalmente acquisita anche in sede assembleare, nel bilancio al 31.12.09 il debito complessivo verso il TIZIO, conformemente al patto, era stato allocato per un terzo fra i debiti e per i due terzi, provvisoriamente, fra le riserve;
-- che l’organo amministrativo della Società, costituito, anche in occasione del rinnovo del 7.10.10, da cinque membri, dei quali quattro di nomina della maggioranza e solo uno di spettanza della minoranza, non aveva rispettato quanto pattuito fra i soci;
-- che l’organo amministrativo della BETA S.P.A. benché il patto parasociale fosse stato recepito negli atti sociali con la richiamata delibera del 19.1.09, aveva violato gli impegni assunti in quanto:
- aa) aveva provveduto con gravissimo ritardo e solo parzialmente al pagamento rateale del primo terzo della debitoria, già contabilizzato fra i debiti sociali, tanto che il credito di TIZIO ammontava ancora ad Euro 57.140,62;
- ab) aveva illegittimamente rifiutato, benché si fosse verificata la condizione contrattualmente prevista, di stornare fra i debiti i due terzi del credito di TIZIO condizionatamente e provvisoriamente spesata come versamento in conto deliberando futuro aumento di capitale, violando anche i principi contabili che impongono la restituzione ai soci delle somme versate sub condicione una volta scaduto il termine;
- ac) le reiterate diffide effettuate da TIZIO nei confronti della ALFA S.R.L. non avevano sortito alcun effetto tanto che l’attore aveva anche invocato la intervenuta risoluzione ipso jure dell’accordo parasociale così come previsto nel patto;
-- che, strumentalmente, il Collegio Sindacale della Società - integralmente composto da componenti proposti dal solo socio di maggioranza – aveva ha infondatamente confermato, in considerazione di una asserita rinuncia, invero inesistente, che la somma rivendicata non poteva essere restituita;
-- che la ALFA S.R.L. (socia di maggioranza e controllante i quattro quinti del Consiglio di Amministrazione) aveva violato gli impegni assunti nell’accordo parasociale, con cui si era impegnata, in relazione alla restituzione a TIZIO del suo credito, a “far conformare a tale disposto le assumende delibere consiliari ed assembleari”;
-- che, invece, il Consiglio di Amministrazione il 29.3.11 aveva approvato il progetto di bilancio per l’esercizio 2010 mantenendo illecitamente la somma reclamata fra le riserve e non fra i debiti;
-- che, attesa la palese violazione degli accordi inter partes, la ALFA S.R.L. era tenuta al risarcimento dei danni cagionati all’attore con specifico riferimento alla rifusione di quanto non recuperato per la dovuta restituzione dell’importo di Euro 515.540,62, conseguente all’annullato aumento del capitale sociale, al netto degli acconti percepiti sul primo terzo del credito;
pertanto, chiedeva che questo Tribunale volesse:
1. accertare e dichiarare l’inadempimento della convenuta rispetto agli impegni assunti, nei confronti dell’attore, nel patto parasociale del 23 dicembre 2008, così come richiamato in narrativa;
2. per l’effetto condannarla al risarcimento di tutti i danni subiti dall’attore medesimo nel dedotto ammontare di Euro 515.540,62, ovvero di quello eventualmente diverso ritenuto dal Giudice, oltre agli accessori ulteriori maturandi;
3. condannare la convenuta alla rifusione delle spese di lite.
Ritualmente costituitasi, la ALFA S.R.L. contestava in fatto ed in diritto la domanda attrice; a sua volta, lamentando l’inadempimento da parte di TIZIO a quanto pattuito tra le parti con la scrittura parasociale del 28 aprile 1999, proponeva domanda riconvenzionale e chiedeva che questo Tribunale volesse:
-- In via principale:
° rigettare perché illegittime, infondate, pretestuose e non provate tutte le domande introdotte da TIZIO con atto di citazione del 19 maggio 2011;
° condannare TIZIO ai sensi dell’art. 96 I° comma del C.p.C. nella somma ritenuta da codesto Ill.mo Tribunale adito;
-- In via riconvenzionale:
° accertare e dichiarare risolte le scritture parasociali tra la società denominata ALFA S.R.L. s.r.l. e TIZIO del 28 aprile 1999 e del 23 dicembre 2008, per violazione dell’obbligo di
correttezza e buona fede nell’esecuzione delle stesse da parte di TIZIO;
° condannare TIZIO al pagamento della somma di euro cinquecentomila//00 (€ 500.000,00), o della maggiore o minor somma ritenuta di spettanza da codesto Ecc.mo Tribunale, oltre interessi, a titolo di risarcimento danni per l’inadempimento dell’obbligo di correttezza e buona fede nell’esecuzione delle summenzionate scritture parasociali;
° accertare e dichiarare l’inadempimento degli obblighi nascenti a proprio carico dalla scrittura parasociale del 28 aprile 1999 da parte di TIZIO e per l’effetto dichiararne la risoluzione con addebito a quest’ultimo della responsabilità;
° condannare TIZIO al pagamento della somma di euro settecentocinquantamila//00 (€ 750.000,00), o della maggiore o minore somma ritenuta di spettanza da codesto Ecc.mo Tribunale, oltre interessi, a titolo di risarcimento danni per il mancato adempimento della scrittura parasociale del 28 aprile 1999;
° accertare e dichiarare la violazione dell’obbligo di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto sociale attinente la società per azioni denominata BETA S.P.A. da parte di TIZIO;
°condannare TIZIO al pagamento della somma di euro cinquecentomila//00 (€ 500.000,00), o della maggiore o minore somma ritenuta di spettanza da codesto Ecc.mo Tribunale, oltre interessi, a titolo di risarcimento danni per l’oggettivo inadempimento dell’obbligo di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto sociale attinente la società per azioni denominata BETA S.P.A.;
° condannare TIZIO al pagamento della somma di euro settecentocinquantamila//00 (€ 750.000,00), o della maggiore o minore somma ritenuta di spettanza da codesto Ecc.mo Tribunale, oltre interessi, a titolo di risarcimento danni causati alla ALFA S.R.L. per impossibilità di acquisizione di nuovi contratti di gestione alberghiera dal 2003 ad oggi in virtù dell’impossibilità di fornitura di garanzie economico-finanziarie, completamente assorbite dal dover farfronte agli obblighi di garanzia richiesti dalla BETA S.P.A. e non ottemperati pro-quota da TIZIO come previsto dalle scritture parasociali summenzionate;
° con vittoria di spese, competenze ed onorari del presente giudizio.
Concessi alle parti i termini di cui all’art.183 c.p.c., rigettate le istanze istruttorie avanzate dalle parti, la causa, a seguito del collocamento fuori ruolo del Giudice istruttore in precedenza designato, era assegnata a questo magistrato.
All’udienza del 30 settembre 2014, precisate le conclusioni, la causa era posta in decisione, con la concessione dei termini di cui all’art.190 c.p.c. e con espresso invito alle parti di ricostruire i verbali delle udienze mancanti.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Come sopra evidenziato, con l’accordo parasociale del 23 dicembre 2008, avente natura transattiva, conseguente alla sentenza del Tribunale di Roma n. 5288/2008, che aveva annullato la delibera societaria di aumento del capitale sociale da euro 120.000,00 a 1.300.000,00, in esecuzione della quale TIZIO, nelle more del giudizio, aveva versato la quota di sua spettanza pari ad euro 584.100,00, le odierne parti in causa avevano pattuito:
-- che la BETA S.P.A. avrebbe provveduto a regolamentare il piano di rimborso di €584.100,00, spettanti a TIZIO, a seguito dell’annullamento dell’aumento del capitale, oltre accessori maturati e maturandi (dalle date dei singoli versamenti a titolo di sottoscrizione fino al soddisfo), in 36 mensilità consecutive, con decorrenza dal 30.4.09, nella misura di €19.100,00 ognuna;
-- che la BETA S.P.A. avrebbe potuto porre provvisoriamente fra le poste patrimoniali come “versamenti dei soci in conto futuro “deliberando aumento del capitale sociale” una somma pari all’ammontare di 24 rate su 36 riveniente dal piano di rimborso spettante a TIZIO, cui sarebbero state parimenti aggiunte, anche in misura eccedente la percentuale di partecipazione posseduta, le somme di spettanza ALFA S.R.L. allo stesso titolo, ed ovviamente si impegnavano reciprocamente a far conformare a tale disposto le delibere consiliari e/o assembleari della controllata;
-- di impegnarsi a fare in modo che per gli anni successivi, bilancio di esercizio 2009 e bilancio di esercizio 2010, la BETA S.P.A. avrebbe provveduto allo storno di quanto sopra portato in bilancio alla voce “versamenti dei soci in conto futuro “deliberando aumento del capitale sociale” riportandolo alla voce debiti verso soci, permettendo così il rimborso a TIZIO di una seconda tranche secondo le modalità sopra descritte e ridestinando a patrimonio solo un terzo della debitoria di TIZIO e la debitoria verso ALFA S.R.L..
Lo stesso attore rileva in citazione che tale accordo era stato formalmente recepito dal Consiglio di Amministrazione della BETA S.P.A. nella seduta del 19.1.09 e, sulla scorta della dichiarazione resa da entrambi i soci e formalmente acquisita anche in sede assembleare, nel bilancio al 31.12.09 il complessivo debito verso TIZIO era stato allocato per un terzo fra i debiti e per i due terzi, provvisoriamente, fra le riserve, così come pattuito.
TIZIO si duole che il consiglio di amministrazione della società, riconducibile al socio di maggioranza ALFA S.R.L. per quattro componenti su cinque, non avesse rispettato il patto parasociale, benché lo stesso fosse stato oggetto della citata delibera del 19.1.09, e deduce specificamente:
1. che si era provveduto con gravissimo ritardo e solo parzialmente al pagamento rateale del primo terzo della debitoria, già contabilizzato fra i debiti sociali, residuando un debito nei confronti di TIZIO pari ad € 57.140,62;
2. che era stato illegittimamente rifiutato, benché si fosse verificata la condizione contrattualmente prevista, lo storno fra i debiti dei due terzi della creditoria TIZIO, che era stata condizionatamente e provvisoriamente spesata come versamento in conto deliberando futuro aumento di capitale.
Quanto alla doglianza di cui al punto 1) sopra riportato, è da rilevare che, come affermato dall’attore, a quest’ultimo, nel corso del giudizio, è stata corrisposta la ulteriore somma di € 57.140,62, a lui dovuta quale residuo del primo terzo del suo credito; ed, infatti, TIZIO, nelle conclusioni precisate all’udienza del 30 settembre 2014, ha ridotto a €458.400 la somma oggetto della sua domanda di condanna a carico della ALFA S.R.L., rispetto agli €515.540,62 richiesti nel petitum della citazione (appunto €57.140,62 in meno).
Ciò che si deve verificare è se, per gli anni successivi, bilancio di esercizio 2009 e bilancio di esercizio 2010, per il mancato pagamento delle residue 24 rate su 36, sussista l’inadempimento lamentato relativo al mancato storno alla voce debiti verso soci di quanto portato in bilancio alla voce “versamenti dei soci in conto futuro “deliberando aumento del capitale sociale”, propedeutico al rimborso a TIZIO della somma di €458.400.
La ALFA S.R.L., a tal proposito, ha contestato che possa essere configurato un proprio inadempimento, e ha, comunque, evidenziato che con la delibera sociale del 19 gennaio 2009, preceduta da delibera del CDA, i soci avevano consentito l’appostamento di parte dei loro crediti a titolo di versamento in conto futuro aumento del capitale sociale senza però apporre un termine entro cui deliberare alcunché, per venire incontro alle richieste del Collegio Sindacale, preoccupato per la situazione economico-finanziaria della società. Il Collegio Sindacale, inoltre, si era opposto anche all’immediato rimborso rateale a favore di TIZIO, rinviando ogni ipotesi in tal senso all’esame dell’andamento dell’esercizio ed a verifiche da eseguire.
Al riguardo, questo Tribunale ritiene di dovere richiamare talune considerazioni già svolte nella sentenza che ha definito il procedimento n.53929/11, instaurato da TIZIO nei confronti della BETA S.P.A.
Quanto alla natura e “sorte” dei versamenti in conto aumento di capitale eseguiti dai soci in favore delle società partecipate, ed in merito ai diritti dei medesimi soci sulle somme così versate, va rilevato che è, ormai, oltremodo diffuso nella prassi, soprattutto nell’ambito delle società di capitali a ristretta base personale o sottocapitalizzate, il fenomeno degli apporti finanziari eseguiti dai soci, in favore delle società partecipate, al di fuori degli schemi giuridici formali previsti dal Codice civile; versamenti, dunque, non riconducibili ai conferimenti in senso tecnico effettuati in sede di costituzione della società o all’esito della sottoscrizione di un aumento di capitale già deliberato, ma neppure qualificabili come meri finanziamenti soggetti a rimborso.
Come rilevato dalla Suprema Corte - tra l'ipotesi dell'erogazione di fondi dal socio alla società a titolo di mutuo e quella del formale conferimento a titolo di aumento di capitale (già deliberato), la prassi è andata da tempo elaborando una terza via, costituita da versamenti, variamente denominati, la cui comune caratteristica consiste nell'essere destinati ad incrementare il patrimonio della società - talvolta anche sotto forma di copertura di perdite - senza però riflettersi (almeno, non immediatamente) sul capitale nominale della società stessa e senza perciò essere sottoposti ai vincoli legali propri del capitale sociale in senso stretto.
I versamenti dei soci in conto futuro aumento del capitale sociale vanno ricondotti proprio nella categoria degli apporti finanziari che si traducono in un incremento del solo patrimonio netto della società e non sono imputabili al capitale, salvo che, con apposita delibera assembleare di modifica dell'atto costitutivo, non ne venga disposto successivamente l'utilizzo per un aumento del capitale sociale.
Sempre secondo la Suprema Corte, in via ordinaria i cennati versamenti, non essendo imputabili a capitale, una volta eseguiti vanno a costituire una riserva - non di utili ma di capitale - soggetta alla stessa disciplina della riserva da sovrapprezzo, seppure personalizzata o targata, in quanto di esclusiva pertinenza dei soci che hanno effettuato i versamenti in relazione all'entità delle somme di ciascuno erogate. Da quanto precede deriva, altresì, che una volta che le somme in conto capitale siano confluite nel coacervo del patrimonio comune è escluso che i soci eroganti, finché dura la società, possano esercitare pretese restitutorie; quindi, a differenza dei finanziamenti, i versamenti in questione non generano crediti esigibili, possono essere utilizzati per l'aumento gratuito del capitale, con attribuzione delle azioni di nuova emissione a tutti i soci, o impiegati per l'acquisto di azioni proprie, mentre i soci eroganti possono chiedere la restituzione delle somme versate solo per effetto dello scioglimento della società e nei limiti dell'eventuale residuo attivo del bilancio di liquidazione.
Va, tuttavia, evidenziato che – come pure precisato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione – anche a fronte di un versamento in conto futuro aumento di capitale, il socio erogante può far valere il diritto alla restituzione dell’apporto eseguito prima dello scioglimento della società, e la stessa società può trovarsi a dover "stornare" le somme ricevute dalle riserve per appostarle e contabilizzarle tra i debiti. Ciò accade allorquando emerga, in termini inequivoci, la volontà concorde degli interessati (soci eroganti e società) di ancorare l’apporto finanziario ad una specifica e già programmata operazione di aumento del capitale sociale.
In proposito la Suprema Corte – con argomentazioni che questo Tribunale ritiene di condividere e fare proprie – ha precisato che, nell’ampia categoria degli apporti finanziari dei soci destinati ad incrementare il patrimonio della società, occorre distinguere tra i versamenti genericamente effettuati in conto capitale e quelli che si riferiscono ad un futuro e ben determinato aumento del capitale sociale. I primi costituiscono indubbiamente apporti di patrimonio dei quali la società è libera di disporre come di qualsiasi altra riserva (anche, ma non necessariamente, adoperandoli in futuro per aumentare il capitale nominale), senza che possa venire in questione alcun diritto al rimborso del socio fin quando non sia stata liquidata l'impresa collettiva; la situazione si presenta in termini diversi nella seconda delle due fattispecie sopra ipotizzate.
Segnatamente, nel caso in cui "le parti abbiano stabilito un chiaro collegamento causale tra il versamento eseguito dal socio ed un prossimo aumento del capitale sociale, è in genere da ritenere che esse abbiano inteso condizionare risolutivamente l'acquisizione patrimoniale della società alla futura deliberazione di aumento del capitale nominale. Il versamento eseguito dal socio sarà pertanto, in tal caso, solo provvisoriamente da includere tra le riserve e dovrà poi, ove l'assemblea effettivamente deliberi l'ipotizzato aumento del capitale nominale della società, rifluire in quest'ultima posta di bilancio ed assumere i caratteri tipici del conferimento di capitale (in senso giuridico). Ma se, viceversa, l'aumento non dovesse esser deliberato dall'assemblea (la quale, ovviamente, è del tutto libera nelle sue determinazioni), il socio avrà diritto alla restituzione di quanto versato [...] per essere venuta successivamente meno la causa giustificativa dell'attribuzione patrimoniale da lui eseguita in favore della società" (in tal senso Cass. Civ., Sez. I, 19 marzo 1996, n. 2314)
Nella medesima sentenza la Corte di Cassazione ha, altresì precisato che "ove, la previsione del futuro aumento del capitale nominale, cui il versamento dovrebbe essere condizionato, sia solo generica - e quindi priva di ogni indicazione della data, o almeno dell'epoca, entro la quale l'ipotizzata condizione dovrebbe verificarsi - s'impone la scelta tra due soluzioni alternative: o si dovrà interpretativamente ritenere che, per il fatto stesso di non aver fissato alcuna indicazione temporale, le parti abbiano in realtà inteso lasciare comunque le somme versate dal socio nella piena disponibilità della società e che, quindi, il riferimento al futuro aumento di capitale non valga a configurare una condizione risolutiva del conferimento ma serva solo a ribadire la possibilità che la società adoperi in tal senso la relativa riserva; oppure si dovrà far ricorso, in via analogica, alla disposizione dell'art. 1183 c.c., ed ammettere che il socio possa chiedere al giudice la fissazione di un termine entro il quale la società sia tenuta a riunire l'assemblea per decidere in ordine all'ipotizzato aumento del capitale nominale, così da provocare l'avveramento o il mancato avveramento della condizione cui il conferimento è risolutivamente condizionato".
Di fondamentale rilievo, per i fini che ci occupano, sono le “indicazioni” che la Suprema Corte, nella pronuncia menzionata, dà al Giudice di merito chiamato a dirimere il contrasto tra le parti circa la natura e finalità dell'apporto finanziario del socio; e così la Corte di Cassazione, dopo aver premesso che in tale attività ermeneutica non può conferirsi valore decisivo alle "denominazioni adoperate", occorrendo, piuttosto, ricostruire il contenuto concreto dell'accordo intercorso tra le parti del "rapporto di conferimento" (società e soci eroganti), ponendo attenzione anche al modo in cui concretamente è stato attuato tale rapporto, perviene alla considerazione conclusiva che nel caso in cui il materiale probatorio offerto non fornisca elementi di giudizio inequivoci non potrà che pervenirsi al rigetto della domanda di restituzione formulata dal socio, gravando su quest'ultimo l'onere di provare che il versamento sia stato eseguito per un titolo che giustifichi la pretesa restitutoria.
In definitiva, dunque, laddove - come nella fattispecie concreta – sia pacifico che il versamento del socio alla società sia stato effettuato non a titolo di mutuo bensì come apporto di capitale di rischio, il diritto alla restituzione delle somme erogate, prima e al di fuori del procedimento di liquidazione della società, sussiste solo qualora il conferimento sia stato risolutivamente condizionato alla mancata successiva deliberazione assembleare di aumento del capitale nominale della società e la delibera in questione non sia intervenuta entro il termine convenuto dalle parti o fissato dal giudice. Inoltre, in ossequio ai principi generali in tema di riparto dell'onere della prova, grava sul socio istante l’onere di dimostrare la volontà concorde delle parti del rapporto di conferimento circa l'apposizione della cennata condizione risolutiva.
Fatte tali considerazioni generali e passando all'esame della fattispecie concreta va rilevato che il versamento in conto futuro aumento di capitale oggetto di causa veniva eseguito da TIZIO (come pure dall'altro socio) mediante imputazione, al patrimonio della BETA, dei due terzi dell'importo precedentemente versato nelle casse sociali a liberazione della quota sottoscritta di un aumento di capitale a pagamento disposto dalla medesima società con deliberazione poi annullata dall'intestato Tribunale.
Con riferimento alla doglianza relativa al mancato storno alla voce debiti verso soci di quanto portato in bilancio alla voce “versamenti dei soci in conto futuro “deliberando aumento del capitale sociale” questo Tribunale ritiene che debbano essere esaminate e valutate anche le comunicazioni e gli atti intercorsi tra TIZIO e la BETA, cioè con la società che, secondo l’accordo parasociale, avrebbe dovuto effettuare detto storno
Al riguardo, dagli atti emerge che
-- TIZIO, con dichiarazione scritta del 23.12.2008, aveva comunicato alla società convenuta: “TIZIO, nella sua qualità di azionista della BETA S.P.A. nonché di creditore della medesima a seguito dell’annullamento da parte del Tribunale di Roma dell’aumento di capitale, dichiara alla BETA S.P.A. che i due terzi della creditoria suddetta, in virtù della presente autorizzazione, devono essere spesati come versamenti in conto futuro deliberando aumento del capitale e, quindi, fra le poste patrimoniali”;
-- con tale comunicazione l’odierno attore disponeva del credito vantato nei confronti della società partecipata, manifestando la volontà di utilizzare le somme di sua spettanza per eseguire un apporto finanziario atto ad incrementare il patrimonio della BETA S.P.A. ed in essa non vi è menzione di alcuna condizione risolutiva;
-- dal tenore complessivo di tale dichiarazione non si desume nemmeno la volontà del “socio erogante” di ricollegare l’apporto finanziario eseguito ad una specifica, deliberanda operazione di aumento del capitale sociale, o, comunque, di condizionare risolutivamente tale apporto alla mancata adozione di una delibera di aumento del capitale;
-- alla medesima data del 23.12.2008 analoga dichiarazione ed autorizzazione veniva indirizzata, alla società convenuta, dall’altro socio ALFA S.R.L.;
-- a tali comunicazioni facevano seguito la presa d’atto da parte del Consiglio di Amministrazione, nel corso dell’adunanza del 19.01.2009, nonché l’assenso dell’assemblea dei soci riunitasi in pari data;
-- infatti, nel verbale dell’adunanza del consiglio di amministrazione del 19 gennaio 2009 risultano così riportati i termini della discussione svoltasi e delle determinazioni assunte sulle questioni poste al secondo punto dell’ordine del giorno ed afferenti, proprio, la dichiarazione dei soci di voler destinare al patrimonio della BETA S.P.A. somme corrispondenti ai due terzi del credito da ciascuno di essi vantato nei confronti della società: “In relazione al secondo punto all’ordine del giorno, prende la parola il Presidente il quale offre in visione a tutti i presenti le comunicazioni inviate da TIZIO e dalla ALFA S.R.L. quali soci, a mezzo delle quali ci hanno comunicato la loro disponibilità ad ottenere il rimborso soltanto di una parte di quanto loro dovuto dalla ns. società per effetto della nota sentenza che si è pronunciata sull’aumento del capitale sociale nonché ad autorizzare che la rimanente parte venga riportata già nel bilancio 2008 in conto futuro deliberando aumento del capitale sociale. Il Collegio sindacale richiede la convocazione di una Assemblea dei Soci con all’o.d.g. “delibere di trasformazione del credito vantato dai soci da accantonarsi a patrimonio netto”. Il CDA, esaminate le comunicazioni, prende atto immediatamente delle stesse e aderendo alle richieste del Collegio sindacale delibera di convocare l’Assemblea dei Soci in forma totalitaria successivamente alla riunione in corso, per la presa d’atto della volontà manifestata dai Soci di stornare i due terzi del credito da loro vantato in un conto acceso al netto patrimoniale, quale futuro deliberando aumento di capitale sociale”;
-- il Consiglio di Amministrazione della società convenuta, all’adunanza del 19 gennaio 2009, si era, quindi, limitato sostanzialmente a recepire le manifestazioni di volontà dei soci, così come trasfuse nelle dichiarazioni datate 23.12.2008 (e, dunque, non contenenti indicazione espressa di condizione risolutiva o, comunque, di un termine entro il quale assumere la delibera di destinazione dell’apporto finanziario ad incremento del capitale nominale) ed aveva rimesso – come dovuto - all’assemblea le determinazioni conseguenti, e, segnatamente, l’adozione delle “delibere di trasformazione del credito vantato dai soci da accantonarsi a patrimonio netto”;
-- pertanto, neppure il Consiglio di Amministrazione della società convenuta, nel recepire le comunicazioni dei soci, aveva ritenuto di individuare preventivamente o, comunque, di indicare all’assemblea un termine entro il quale destinare l’apporto finanziario in oggetto all’aumento del capitale nominale della società, pena la risoluzione del conferimento;
-- alla predetta riunione del Consiglio di Amministrazione della BETA aveva presenziato anche l’odierno attore, quale componente dell’organo amministrativo;
-- anche l’assemblea della BETA S.P.A.– cui venivano rimesse le determinazioni conseguenti alla dichiarazione dei soci di voler eseguire apporti in conto aumento di capitale – aveva manifestato la volontà sociale in termini di mera accettazione della “proposta non condizionata” formulata da entrambi i soci;
-- nel verbale dell’adunanza dei soci della BETA, tenutasi in data 19 gennaio 2009, si legge: “Con riferimento all’argomento posto all’ordine del giorno, il Presidente comunica che sono pervenute alla Società il 23 dicembre 2008 due distinte comunicazioni da parte dei soci - i cui testi puntualmente di seguito si riportano – con cui gli stessi autorizzano la società a trasformare i due terzi del credito vantato dai medesimi Soci nei confronti della Società, per effetto della nota sentenza del Tribunale di Roma di annullamento del deliberato aumento di capitale sociale, in posta patrimoniale denominata “conto futuro deliberando aumento del capitale sociale”. Segue, quindi, la riproduzione del testo integrale delle dichiarazioni dei soci datate 23.12.2008 e sopra già riportate. Indi, il seguente deliberato assembleare: “L’Assemblea all’unanimità prende atto delle dichiarazioni dei Soci e autorizza l’organo amministrativo fin dalla data della lettera ad effettuare le opportune rettifiche contabili relative alle poste debitorie riportate in bilancio”;
-- anche tale ultima delibera (con cui era stata meramente accettato l’apporto finanziario, offerto dai soci, senza alcuna menzione di condizioni risolutive) era stata adottata con il voto favorevole di TIZIO, il quale, anche in tale sede, non aveva ritenuto di aggiungere alcunché alla dichiarazione rassegnata con comunicazione del 23.12.2008.
Alla luce di tali emergenze processuali, si deve ritenere che, contrariamente a quanto argomentato dall’attore, il versamento in conto futuro aumento di capitale, eseguito da TIZIO mediante autorizzazione alla imputazione al patrimonio sociale di una somma corrispondente ai due terzi del credito vantato nei confronti della BETA, non fosse stato sottoposto alla condizione risolutiva della mancata adozione della delibera di aumento del capitale sociale.
È pur vero che nell’accordo parasociale del 23.12.2008, TIZIO e la ALFA S.R.L. avevano fatto riferimento alla condizione risolutiva della mancata deliberazione attuativa dell’aumento del capitale sociale e che avevano anche concordato: “Art. 2. Tra le parti si conviene che […] l’ammontare rappresentato da n.ro 24 (ventiquattro) rate su 36 (trentasei) rivenienti dal piano di rimborso spettante a TIZIO, cui andranno parimenti aggiunte, anche in misura eccedente la percentuale di partecipazione posseduta, le somme di spettanza ALFA S.R.L. allo stesso titolo, sarà provvisoriamente allocato nei termini che seguono fra le poste patrimoniali. […] In particolare, con reciproco impegno di far conformare a tale disposto le assumende delibere consiliari e/o assembleari, si stabilisce quanto infra: aa) almeno i due terzi […] della somma capitale da rimborsare ai soci per il titolo di cui al presente accordo saranno allocati per tutto l’esercizio 2009 e fino all’approvazione del relativo bilancio, che dovrà seguire nei quattro mesi post chiusura, nei conti sociali a patrimonio netto sotto la voce “versamento dei soci in conto futuro deliberando aumento del capitale sociale”; ab) in sede di approvazione assembleare del bilancio riferito all’esercizio 2009 dovrà essere preso atto che, essendosi verificata la condizione risolutiva riferita alla mancata deliberazione attuativa dell’aumento del capitale sociale – deliberazione in ogni caso ora per allora pattuita inderogabilmente all’unanimità – tutte le somme di cui sub aa) andranno stornate a debiti verso soci […]”.
È, tuttavia, parimenti vero che in questa sede non si può non tenere conto della volontà espressa dall’odierno attore alla società che, estranea e non vincolata all’accordo parasociale, a lei non opponibile, avrebbe dovuto effettuare lo storno in questione.
Contrariamente a quanto affermato da TIZIO, dagli atti non emerge, che il Consiglio di Amministrazione della BETA, all’adunanza del 19 gennaio 2009, avrebbe recepito e fatto proprie le pattuizioni di cui all’accordo parasociale, che, come si ricava dalla lettura integrale del verbale di detta adunanza, non era neppure menzionato. In particolare, risulta che il Presidente del Consiglio di Amministrazione, in apertura della discussione in ordine al rimborso delle somme dovute a seguito della sentenza n. 5288/2008, aveva riferito – puramente e semplicemente - di incontri informali con i soci, nel corso dei quali gli stessi avevano manifestato la propria disponibilità a consentire che un importo corrispondente ai due terzi del credito vantato nei confronti della BETA S.P.A. venisse “collocato in bilancio” “in conto futuro aumento del capitale sociale, aumento da deliberare entro l’approvazione del bilancio dell’esercizio” che si sarebbe chiuso al 31.12.2009. A tale intervento del Presidente del Consiglio di Amministrazione aveva fatto seguito la replica del Collegio Sindacale che aveva formulato riserve in ordine alla concreta possibilità, per la BETA, di assicurare ai soci un qualche rimborso pur parziale. Il Consiglio di Amministrazione, nell’affrontare la questione afferente specificamente la destinazione dei due terzi delle somme dovute in restituzione ai soci, aveva assunto le proprie determinazioni non sulla scorta di quanto precedentemente riferito dal Presidente, bensì avendo riguardo al contenuto della proposta in concreto formulata dai soci con la comunicazione del 23.12.2008 (proposta che, come si è detto, non conteneva riferimento alcuno alla condizione risolutiva invocata dall’attore nel presente giudizio).
Sempre dagli atti emerge che la stessa assemblea, chiamata ad esprimere la volontà della BETA S.P.A. in ordine all’apporto finanziario offerto dai soci, aveva accettato e recepito la proposta di questi ultimi, come formalizzata con le comunicazioni del 23.12.2008, senza riferimento alcuno a diverse intese raggiunte nel corso degli “incontri informali” menzionati dal Presidente del Consiglio di Amministrazione o all’accordo parasociale invocato da TIZIO.
È da rimarcare, a questo punto, che l’odierno attore, sia con la citata comunicazione del 23.12.2008 che con le dichiarazioni rese nel corso dell’adunanza del Consiglio di Amministrazione del 19 gennaio 2009, aveva manifestato alla società convenuta una volontà implicante il superamento di quanto previsto con l’accordo parasociale e, comunque, non coerente con l’intento perseguito con citato accordo parasociale. Infatti, nel verbale della citata adunanza del Consiglio di Amministrazione, si legge che, a fronte delle riserve formulate dal Collegio sindacale in ordine alla proposta di rimborso ai soci di un terzo delle somme dagli stessi versate in esecuzione della delibera annullata, TIZIO, anch’egli Consigliere, tra l’altro, aveva affermato: “[…] l’obbligazione disposta nella sentenza del Tribunale di Roma aveva scadenza immediata per l’intero ammontare; […] in luogo di dar corso ad una restituzione senza scadenza il Presidente ha proposto all’approvazione del C.d.A. una operazione che consolida a patrimonio ben i due terzi dell’importo riveniente dall’annullamento”.
Tale affermazione, secondo cui la proposta formulata con la comunicazione del 23.12.2008 e portata all’approvazione degli organi sociali, era finalizzata a “consolidare” nel patrimonio della BETA S.P.A. l’apporto finanziario dei soci, è ben lontana da quanto il medesimo odierno attore aveva precedentemente preteso e concordato con l’accordo parasociale; accordo dalla cui lettura emerge che 1) l’appostazione tra le riserve di capitale dei due terzi delle somme dovute in restituzione dalla società convenuta doveva essere “meramente provvisoria” e finalizzata, evidentemente, a “rassicurare” i terzi ed, in particolare, il ceto bancario; 2) a TIZIO doveva essere assicurata in ogni caso, in termini ristretti, la restituzione dei cennati due terzi delle somme originariamente versate in esecuzione della delibera di aumento di capitale poi annullata; 3) pertanto, l’evento oggetto dell’asserita condizione risolutiva era destinato, ab origine, a non avverarsi.
Ed ancora, appare significativo che anche in ulteriori e successive occasioni l’odierno attore, personalmente o a mezzo di delegati, nel corso delle assemblee o delle adunanze del Consiglio di Amministrazione della BETA avesse reso dichiarazioni implicanti il superamento delle intenzioni e finalità sottese all’accordo parasociale invocato in questa sede e, comunque, tali da confortare il convincimento che – al di là di eventuali riserve mentali del socio erogante, certamente irrilevanti – la sua volontà, così come manifestata alla BETA, non contemplava, quale condizione risolutiva dell’apporto patrimoniale eseguito dai soci, la mancata adozione della delibera di aumento del capitale sociale nel termine del 20.04.2010.
Infatti,
-- nella seduta del Consiglio di Amministrazione della predetta società del 22.12.2009, TIZIO, in qualità di consigliere, aveva dichiarato:
“[…] la società ha ampiamente la capacità di assorbire l’eventuale perdita preannunciata ove si considerino il capitale e le riserve esistenti a bilancio”;
-- nella seduta dell’adunanza del Consiglio di Amministrazione del 22.07.2010 (dopo lo spirare del termine per l’adozione della delibera di aumento del capitale oggetto della pretesa condizione risolutiva), l’Avv. CAIO – pacificamente legale di fiducia dell’odierno attore ed in più occasioni delegato nell’interesse di quest’ultimo a presenziare alle riunioni degli organi sociali - a fronte della richiesta del Collegio sindacale di convocare l’assemblea affinché decidesse sulle problematiche derivanti dal portare a nuovo la perdita registrata nell’esercizio 2009, tra l’altro, aveva dichiarato: “Ricorda le lettere dei soci verbalizzate in formale assemblea per l’imputazione dei 2/3 delle somme derivanti dall’annullamento dell’aumento di capitale, senza indicazione di termine. E’ pacifico che siano riserve, che non ci siano ipotesi di restituzione [...]”;
-- nel verbale dell’assemblea ordinaria dei soci della BETA S.P.A., tenutasi il 7 ottobre 2010, tra l’altro, si legge:
“Successivamente prende la parola il rappresentante del socio ALFA S.R.L., che osserva che malgrado la perdita portata a bilancio sia rilevante come importo, essa, essendo presenti nel patrimonio, oltre il capitale sociale, riserve volontarie e legali in misura enormemente maggiore e tali da far sì che non si incorra in nessuna delle ipotesi paventate dal Collegio Sindacale, possa essere portata a nuovo. […] Prende la parola l’Avv. CAIO, a nome del socio TIZIO, il quale ritiene che l’osservazione del Collegio sindacale è tecnicamente non corretta in considerazione del fatto che i versamenti in conto deliberando aumento del capitale confluiti a riserve, nel caso in esame risultano proporzionali alla partecipazione dei soci”.
Alla luce di tali manifestazioni di volontà di TIZIO e delle considerazioni sopra espresse, si deve ritenere la infondatezza della domanda avanzata dall’odierno attore nei confronti della ALFA S.R.L., fondata, come emerge chiaramente dalle deduzioni e dagli scritti di parte attrice, sul presupposto che i versamenti in conto futuro deliberando aumento del capitale sociale, eseguiti dai soci nel dicembre 2008, fossero condizionati risolutivamente alla mancata adozione della delibera di aumento di capitale sociale entro il 30.04.2010, e che, pertanto, non essendo stato deliberato, nel termine previsto, il cennato aumento di capitale sociale, in ossequio ai principi di cui al secondo comma dell’art. 2423 c.c., nel bilancio oggetto di impugnazione gli apporti dei soci dovevano essere “stornati” dalle riserve ed appostati tra i debiti della società.
La volontà manifestata da TIZIO alla BETA, come in precedenza evidenziata, era contrastante con le statuizioni che la ALFA S.R.L., socia di maggioranza della BETA, avrebbe dovuto fare assumere alla società controllata per attuare il patto parasociale del cui inadempimento l’attore oggi si duole
Non si può, quindi, imputare alla ALFA S.R.L. la mancata attuazione delle pattuizioni del patto parasociale (alla quale BETA S.P.A. era estranea) per non avere attivato i suoi consiglieri di riferimento nel c.d.a. e non avere votato (o fatto votare) in tal senso in assemblea, a fronte delle emergenze processuali e delle comunicazioni intercorse tra l’odierno attore e la predetta BETA, contrastanti con la concreta attuazione delle predette pattuizioni, che non consentono in alcun modo di ritenere che l’apporto finanziario eseguito dai soci nel dicembre 2008, e destinato ad incrementare il patrimonio della BETA, fosse stato sottoposto alla condizione risolutiva della mancata destinazione delle somme erogate a capitale sociale entro la data del 30.04.2010.
La domanda avanzata da TIZIO, così come precisata all’udienza del 30 settembre 2014 deve essere rigettata.
Con riferimento alla domanda riconvenzionale, avanzata dalla convenuta in comparsa di costituzione e risposta, ed alla eccezione riconvenzionale subordinata, formulata dalla ALFA S.R.L. nella prima memoria ex art. 183 c.p.c., si osserva.
La pronuncia di rigetto rende superfluo l’esame della eccezione subordinata in questione (exceptio inademplenti non est adimplendum), a prescindere da ogni valutazione in ordine alla ammissibilità e tempestività della stessa.
La domanda riconvenzionale sopra citata, invece, deve essere dichiarata inammissibile.
Come prima evidenziato, con detta riconvenzionale la ALFA S.R.L., a fronte della doglianza formulata dall’attore relativa alla mancata ottemperanza della convenuta alle previsioni del patto parasociale stipulato il 23 dicembre 2008, ha evidenziato l’esistenza di una precedente scrittura parasociale sottoscritta in data 28 aprile 1999 tra gli stessi contraenti ed ancora vigente, disciplinante i reciproci obblighi dei soci con riferimento alle esigenze finanziarie della BETA S.P.A. e, lamentando che l’attore non avesse ottemperato ai patti parasociali previsti in detta scrittura, ha chiesto che si dichiari l’inadempimento di TIZIO agli obblighi nascenti a proprio carico dalla scrittura parasociale del 28 aprile 1999 e la condanna del predetto al risarcimento dei danni.
Questo Tribunale rileva che l’accordo del 28.4.1999 (tipicamente parasociale) e la scrittura del 23.12.2008 (dalla chiara finalità transattiva) hanno per oggetto, obbligazioni inter partes completamente diverse fra loro e che la scrittura del 2008, che espressamente esclude ogni carattere novativo rispetto ad accordi precedentemente stipulati inter partes, non integra gli autonomi obblighi parasociali reciproci fra i soci nascenti nel 1999.
La domanda riconvenzionale è, quindi, fondata su un titolo diverso, estraneo alla causa petendi ed al petitum oggetto del presente giudizio, ed è assolutamente autonoma rispetto alle ragioni ed al credito posto a fondamento del procedimento principale; si tratta di impegni ed obbligazioni formalmente e sostanzialmente differenti tra loro e privi di quel collegamento obiettivo che, a fini di economia processuale ed in applicazione del principio del giusto processo di cui all'art. 111, primo comma, Cost., rendere consigliabile ed opportuna la celebrazione del "simultaneus processus", della trattazione e decisione simultanea delle domanda riconvenzionale della ALFA S.R.L. unitamente alla domanda principale avanzata dal TIZIO, secondo i principi stabiliti dalla S.C. (cfr. sentt. nn. 27564/11, 8207/06, 8531/94).
Infine, non merita accoglimento la domanda riconvenzionale di risarcimento danni ex art. 96 primo comma c.p.c., avanzata dalla convenuta, non avendo quest’ultima fornito alcuna prova (a lei incombente) né dell’an nè del quantum debeatur e non avendo neppure allegato gli elementi di fatto necessari alla liquidazione, sia pure equitativa, del danno lamentato, né avendo dedotto se detti elementi siano in concreto desumibili dagli atti di causa (sul punto cfr. Cass. sentt. nn. 9080/13, 7583/04 a SS. UU. e 6637/92). Detto danno ex art. 96, primo comma c.p.c., non può essere considerato, pur mancando la piena prova circa la sua esistenza ed il suo ammontare, come conseguenza normale della violazione del diritto e quantificato in via equitativa sulla base dei medesimi criteri elaborati dalla Corte di Strasburgo per un processo irragionevolmente lungo, né può consistere nella spesa sostenuta per la difesa in giudizio, oggetto di autonoma e separata valutazione e quantificazione.
Avuto riguardo all’esito del presente giudizio, alla reciproca soccombenza e ritenendo prevalente la soccombenza dell’attore ricorrono giusti motivi per compensare tra le parti il 50% delle spese processuali e per porre il residuo 50% a carico di TIZIO.
Dette spese, tenuto conto della natura e del valore della controversia, della qualità e quantità delle questioni trattate e dell’attività complessivamente svolta dal difensore, sulla base dei parametri indicati dal D.M. n.55/14, vanno liquidate, per l’intero, in complessivi €25.000, oltre accessori come per legge.