Se la fideiussione è citata nel decreto ingiuntivo si tassa la somma richiesta e non tutto l'importo della fideiussione

 RISOLUZIONE AGENZIA DELLE ENTRATE N. 46/E DEL 5 LUGLIO 2013

 IL PRINCIPIO

Alla luce di quanto chiarito dalla Corte Costituzionale, si ritiene, pertanto, che la fideiussione formata per corrispondenza ed enunciata in un provvedimento giudiziario richiesto dal creditore a tutela del proprio diritto di credito, debba essere tassata (con l’aliquota dello 0,50 per cento) limitatamente alla parte della stessa che, non avendo ancora trovato esecuzione, sia ancora espressiva di attuale capacità contributiva.

Tale importo coincide in sostanza con la parte di credito per la cui esecuzione è stato attivato il procedimento giudiziario e, quindi, con il valore del credito il cui pagamento sia stato “ingiunto” al debitore e al fideiussore tramite l’atto giudiziario.

La predetta soluzione risulta confortata dalla giurisprudenza di merito e di legittimità, secondo il cui orientamento, nelle ipotesi in cui una fideiussione formata per corrispondenza venga enunciata in un atto giudiziario deve essere assoggettata ad imposta di registro “solo la somma risultante dal decreto ingiuntivo e non l’intero importo della fideiussione”

 

LA FATTISPECIE CONCRETA

Mediante scambio di corrispondenza (e, dunque, con registrazione solo in caso d'uso ai sensi dell'art. 1, comma 1, lett. a), della Tariffa Parte II allegata al TUR) Caio presta fideiussione, nel'l'interesse di Tizio, a favore della Banca Alfa s.p.a. per un importo massimo di euro 200.000; la Banca Alfa s.p.a. ottiene decreto ingiuntivo nei confronti di Caio per il pagamento della somma di euro 150.000.

La tassazione della enunciata fideiussione deve avvenire sulla base imponibile di euro 200.000 o sulla minor somma richiesta di euro 150.000 ?

L'Agenzia delle Entrate ritiene che la base imponibile sia costituita dalla somma effettivamente richiesta (150.000 euro).

 

LE MOTIVAZIONI DELL'AGENZIA DELL'ENTRATE

Il regime tributario applicabile, agli effetti dell’imposta di registro, agli atti mediante i quali viene costituita una garanzia reale o personale consegue, in linea generale, dalle disposizioni contenute nell’art. 6 della Tariffa Parte I allegata al TUR e nell’art. 43, comma 1, lett. f), del medesimo testo unico.

L’art. 6 della citata Tariffa Parte I include gli atti con cui sono costituite a favore di terzi garanzie reali o personali tra quelli soggetti al tributo in termine fisso, prevedendo, altresì, l’assoggettamento degli stessi ad imposizione in misura proporzionale, con applicazione dell’aliquota dello 0,50 per cento.

In ordine alla determinazione della base imponibile per gli atti con i quali viene prestata garanzia reale o personale, il richiamato art. 43 del TUR stabilisce, al comma 1, lett. f), che la stessa coincide con la “somma garantita”.

In via generale, pertanto, l’assunzione di garanzie reali o personali a favore di terzi rappresenta, ai fini dell’imposta di registro, un indice rivelatore di capacità contributiva: i relativi atti devono essere presentati per la registrazione in termine fisso e scontano l’applicazione del tributo in misura proporzionale sull’importo che corrisponde alla somma garantita.

Rispetto alla disciplina sopra illustrata, l’art. 2, comma 1, lett. a), della Tariffa Parte II allegata al TUR introduce una deroga. La norma dispone, infatti, che se alcuni atti indicati nella Tariffa Parte I, tra i quali quelli di cui al richiamato art. 6 della stessa Tariffa, sono formati “mediante corrispondenza”, gli stessi sono assoggettati a registrazione solo in caso d’uso, ferma restando, in tali ipotesi, l’applicazione dell’imposta secondo quanto previsto per i corrispondenti atti nella menzionata Parte I.

Da ciò discende che l’atto di prestazione di garanzie reali o personali formato “per corrispondenza” non deve considerarsi più soggetto ad imposizione in termine fisso, ma in caso d’uso (cfr. circolare ministeriale n. 6 del 31 gennaio 1990), con applicazione dell’aliquota pari allo 0,50 per cento sulla somma garantita. Si precisa, in proposito, che non costituisce oggetto del quesito formulato la nozione di “atto formato per corrispondenza”.

La specificità del quesito posto da codesta Direzione Centrale consiste nella circostanza che nelle fattispecie rappresentate la fideiussione formata per corrispondenza (e, come tale, soggetta ad imposizione solo in caso d’uso) viene enunciata in un atto dell’Autorità Giudiziaria di cui all’art. 37 del TUR (di regola, un decreto ingiuntivo che condanna il debitore principale ed il fideiussore al pagamento), con conseguente applicazione, ai fini della determinazione dell’imposta di registro, della norma recata nell’art. 22, comma 3, del medesimo testo unico.

Come noto, in tema di enunciazione di atti, il citato art. 22 stabilisce in primo luogo, al comma 1, il principio in forza del quale, considerata la rilevanza dell’atto enunciato quale autonomo indice rivelatore di ricchezza, “se in un atto sono enunciate disposizioni contenute in atti scritti o contratti verbali e posti in essere fra le stesse parti intervenute nell’atto che contiene la enunciazione, l’imposta si applica anche alle disposizioni enunciate”. La medesima disposizione prevede, inoltre, che nelle ipotesi in cui l’atto enunciato sia “soggetto a registrazione in termine fisso” è dovuta anche la pena pecuniaria di cui all’art. 69 del TUR.

Il successivo comma 3 dell’art. 22 del TUR contempla la particolare ipotesi in cui un atto dell’Autorità Giudiziaria enunci un atto “non soggetto a registrazione in termine fisso”, prevedendo che in tal caso la base imponibile dell’imposta c.d. “di titolo” debba essere determinata considerando la parte dell’atto enunciato “non ancora eseguita”.

Sul punto, la Corte Costituzionale, con sentenza n. 7 del 21 gennaio 1999, ha statuito che l’art. 22, comma 3, del TUR, nella parte in cui limita l’imponibilità dell’atto di garanzia soggetto a tassazione in caso d’uso ed enunciato in un atto giudiziario alla sola parte dello stesso non ancora eseguita, intende salvaguardare il necessario collegamento fra il momento dell’imposizione e l’attualità della capacità contributiva espressa dall’atto enunciato.

Secondo la sentenza citata, infatti, l’indice di capacità contributiva assunto dal legislatore consiste nel compimento dell’atto (la prestazione della garanzia) e l’obbligo tributario “è afferente al momento dell’eventuale utilizzo dell’atto stesso” (che, nelle ipotesi in esame, consiste nell’enunciazione in un provvedimento del Giudice): l’art. 22, comma 3, del TUR, quindi, nell’assoggettare ad imposta la sola parte dell’atto enunciato in giudizio non ancora eseguita, rende “attuale” la capacità contributiva espressa dallo stesso al momento della sua formazione. Conseguentemente, “l’imposta colpisce (…) soltanto le disposizioni dell’atto enunciato che vengono ancora utilizzate” in relazione al rapporto giuridico controverso.

Diversamente, prosegue la Corte Costituzionale, per gli atti che avrebbero dovuto essere registrati in termine fisso, vale il principio secondo cui “chi li allega o li enuncia in giudizio è inadempiente agli obblighi fiscali” e non può, quindi, lamentare “una supposta inattualità o gravosità del carico tributario, riversando sul fisco la colpa per il proprio illegittimo comportamento”.

Alla luce di quanto chiarito dalla Corte Costituzionale, si ritiene, pertanto, che la fideiussione formata per corrispondenza ed enunciata in un provvedimento giudiziario richiesto dal creditore a tutela del proprio diritto di credito, debba essere tassata (con l’aliquota dello 0,50 per cento) limitatamente alla parte della stessa che, non avendo ancora trovato esecuzione, sia ancora espressiva di attuale capacità contributiva.

Tale importo coincide in sostanza con la parte di credito per la cui esecuzione è stato attivato il procedimento giudiziario e, quindi, con il valore del credito il cui pagamento sia stato “ingiunto” al debitore e al fideiussore tramite l’atto giudiziario.

La predetta soluzione risulta confortata dalla giurisprudenza di merito e di legittimità, secondo il cui orientamento, nelle ipotesi in cui una fideiussione formata per corrispondenza venga enunciata in un atto giudiziario deve essere assoggettata ad imposta di registro “solo la somma risultante dal decreto ingiuntivo e non l’intero importo della fideiussione” (cfr. Commissione Tributaria Centrale n. 1617 del 17 maggio 1994, n. 4424 del 16 settembre 1996, n. 6308 del 17 dicembre 1996 e n. 5026 del 15 ottobre 1996; Commissione Tributaria Regionale di Roma n. 03/21/00 del 18 gennaio 2000 e n. 226/1/00 del 9 ottobre 2000; Commissione Tributaria Regionale di Genova n. 29/07/2003 del 4 marzo 2003; Commissione Tributaria Regionale di Torino n. 7/20/02 del 7 febbraio 2002; in tal senso anche Corte di Cassazione sentenza n. 17723 del 2 settembre 2004, Sezione Tributaria).  

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