I crediti del de cuius, a differenza dei debiti, non si ripartiscono tra i coeredi in modo automatico in ragione delle rispettive quote, ma entrano a far parte della comunione ereditaria
La Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 7 marzo - 16 aprile 2013, n. 9158, ha affermato quanto segue:
È ben vero che tra coeredi non esiste mai un rapporto di solidarietà attiva per i crediti, salvo che si tratti di obbligazioni indivisibili (tra le molte, Cass. 13 ottobre 1978, n. 4593); e non è men vero che non si adduce per quale ragione l'obbligazione oggetto della condanna sarebbe stata appunto indivisibile: su quest'ultimo punto, anzi, l'art. 1316 cod. civ. qualifica indivisibile l'obbligazione quando la prestazione abbia per oggetto una cosa o un atto che non è suscettibile di divisione per sua natura o per il modo in cui è stato considerato dalle parti contraenti (così disciplinando unitariamente sia l'obbligazione oggettivamente indivisibile, tale, cioè, in ragione dell'utilità oggettiva e della funzione economico-sociale propria della cosa o del fatto che il debitore è tenuto a prestare al creditore, sia l'obbligazione soggettivamente indivisibile, caratterizzata dall'impossibilità di frazionamento in più parti della cosa o del fatto, in dipendenza di una particolare pattuizione, esplicita o implicita, che abbia attribuito un vincolo di indissolubilità alla utilità connessa al bene oggetto della obbligazione; tra le altre: Cass. 25 maggio 1983, n. 3622), mentre le obbligazioni pecuniarie sono di norma divisibili (Cass. 9 maggio 1997, n. 4084) per la conclamata intrinseca fungibilità del denaro, qualora non sussistano, cioè, le particolari condizioni cui l'appena richiamato art. 1316 cod. civ. rapporta la qualificazione di indivisibilità.
Cionondimeno, ricostruiti come appartenenti anche i crediti del de cuius alla comunione ereditaria fino allo scioglimento di questa, ciascuno dei partecipanti alla medesima può agire singolarmente per far valere l'intero credito comune, ovvero di scegliere di agire per la sola parte proporzionale alla quota ereditaria (Cass. Sez. Un. 28 novembre 2007, n. 24657, che ne desume la non necessità di integrare il contraddittorio nei confronti di tutti gli altri coeredi, ferma la possibilità che il convenuto debitore chieda l'intervento di questi ultimi in presenza di uno specifico interesse all'accertamento nei confronti di tutti della sussistenza o meno del credito).
Infatti, i crediti del de cuius, a differenza dei debiti, non si ripartiscono tra i coeredi in modo automatico in ragione delle rispettive quote, ma entrano a far parte della comunione ereditaria, essendo la regola della ripartizione automatica dell'art. 752 cod. civ. prevista solo per i debiti, mentre la diversa disciplina per i crediti risulta sia dal precedente art. 727, il quale, stabilendo che le porzioni debbano essere formate comprendendo anche i crediti, presuppone che gli stessi facciano parte della comunione, sia dall'art. 757, il quale, prevedendo che il coerede succede nel credito al momento dell'apertura della successione, denota che i crediti ricadono nella comunione; trova, così, applicazione il principio generale, secondo cui ciascun soggetto partecipante alla comunione può esercitare singolarmente le azioni a vantaggio della cosa comune (Cass., ord. 24 gennaio 2012, n. 995).
Ritiene il Collegio che nessuna ragione, né letterale, né - tanto meno - sistematica osti all'estensione di tale conclusione, raggiunta in modo espresso per il giudizio di cognizione, anche al processo esecutivo, alla stregua dell'unitarietà della ragione creditoria - che, però, non trasmoda in una tecnica indivisibilità, effettivamente invocata in modo incongruo dall'esecutante, per la carenza di elementi sui relativi requisiti oggettivi o soggettivi - e, soprattutto, del principio generale della legittimazione del singolo contitolare di un diritto alla tutela di questo nel suo complesso in sede cognitiva, riguardato alla luce della necessaria complementarietà, al fine di garantire l'effettività del secondo, del diritto di agire esecutivamente rispetto a quello di agire in giudizio. La tutela del debitore è idoneamente apprestata da opposizione ad esecuzione, ove egli abbia pagato a mani di uno dei coeredi, atteso il carattere satisfattivo di tale pagamento e l'onere degli altri di agire, in sede di rendiconto o di scioglimento della comunione ereditaria, nei confronti del coerede che ha ricevuto il pagamento.
Beninteso, occorre che il titolo esecutivo riconosca il credito come ereditario - come accade nella specie, in cui esso è riconosciuto ai due eredi del precedente titolare - e che non preveda, in modo espresso, la titolarità pro quota di ciascuno dei coeredi o altre specificazioni o limitazioni: cosa che pure accade nella specie, in cui la condanna è pronunciata sic et simpliciter nei confronti dei coeredi, ma non già pro quota, né con altre specificazioni. È pertanto priva di fondamento, letterale e giuridico (sebbene, quanto a quest'ultimo profilo, in forza anche di giurisprudenza di legittimità consolidatasi dopo la pronuncia della gravata sentenza), l'estrapolazione operata dal giudice del merito, sulla desumibilità di una tale limitazione dal tenore letterale della condanna.
Pertanto, ritiene il Collegio che anche il singolo coerede può agire esecutivamente per l'intero credito ereditario, ove il titolo esecutivo riconosca quest'ultimo ed anche quando la condanna sia pronunciata nei confronti di tutti i coeredi, ma senza espressa specificazione né di una limitazione per quote, né di una solidarietà attiva.