E' illegittimo l'avviso di accertamento emesso prima del decorso dei 60 giorni dalla consegna della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni, salvo che sussistano ragioni di urgenza

In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212, deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, la illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva. Il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito (esonerativo dall’osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’Ufficio (CORTE DI CASSAZIONE sezioni unite – Sentenza 29 luglio 2013, n. 18184).

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Il testo della sentenza (CORTE DI CASSAZIONE sezioni unite – Sentenza 29 luglio 2013, n. 18184)

 

Ritenuto in fatto

1. Sulla base di un processo verbale di constatazione, redatto il 17 settembre 2004 dai funzionari dell’Agenzia delle entrate di Palermo, venne emesso a carico della società C.B.G. s.a.s. di B. F. P. e C, e notificato in data 12 ottobre 2004, un avviso di recupero relativo a credito di imposta che l’Ufficio asseriva essere stato indebitamente utilizzato per investimenti in aree svantaggiate, ai sensi dell’art. 8 della legge n. 388 del 2000.

La società contribuente impugnò l’avviso, contestando la legittimità dell’atto innanzitutto per violazione dell’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212, in quanto lo stesso era stato emesso prima della scadenza del termine di sessanta giorni dal rilascio della copia del processo verbale di constatazione; lamentò, poi, errori di calcolo nella determinazione dell’importo indicato in recupero.

La Commissione tributaria provinciale di Palermo accolse il ricorso, rilevando che l’avviso di accertamento era stato notificato dopo soli venticinque giorni dalla redazione del processo verbale di constatazione e che non era stata in alcun modo indicata la particolare e motivata urgenza che avrebbe potuto giustificare la notifica dell’atto impugnato prima del termine di sessanta giorni previsto dall’art. 12 della legge n. 212 del 2000.

L’appello proposto dall’Agenzia delle entrate è stato rigettato dalla Commissione tributaria regionale della Sicilia.

Il giudice d’appello ha rilevato, innanzitutto, a fondamento della decisione, che l’avviso di recupero del credito di imposta è “un tipico atto di accertamento”, in quanto le attività di accertamento sono qualificabili come “quel complesso di attività poste in essere dall’Amministrazione Finanziaria per controllare il verificarsi o meno della fattispecie legale”, e nel caso in esame l’Ufficio aveva effettuato una fase ispettiva tendente ad accertare la sussistenza dei presupposti voluti dalla legge perché il contribuente fruisca del diritto al credito.

Ha poi osservato che, dal testo dell’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000, “possono individuarsi tre distinte posizioni soggettive: 1) diritto del contribuente di comunicare osservazioni e richieste; 2) obbligo degli uffici di valutare le osservazioni e richieste comunicate dal contribuente; 3) obbligo degli stessi Uffici di motivare l’avviso di accertamento con specifico riferimento alle osservazioni e richieste comunicate dal contribuente con conseguente nullità dello stesso in caso di omessa motivazione”. Ha aggiunto che la disposizione citata prevede un contraddittorio anticipato al fine di fornire non solo maggiori garanzie al contribuente, ma anche maggiore efficacia all’accertamento tributario, e che essa, come tutte le altre previsioni normative contenute nella legge n. 212 del 2000, viene elevata a principio generale dell’ordinamento tributario dall’art. 1, comma 1, del medesimo testo normativo.

Ha concluso che l’emissione dell’atto impositivo prima del decorso di sessanta giorni dalla fine delle operazioni ispettive “ha palesemente violato il diritto del contribuente a difendersi, privandolo di un grado di valutazione delle sue ragioni, senza che ne ricorressero validi motivi”.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate, sulla base di un unico motivo.

La C.B.G. s.a.s. di B. F. P. e C. ha resistito con controricorso.

All’esito dell’adunanza in camera di consiglio del 27 marzo 2012, la quinta sezione civile (tributaria), con ordinanza n. 7318, depositata 27 maggio 2012, ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle sezioni unite, osservando che il tema degli effetti del mancato rispetto del termine dilatorio in esame ha dato luogo a decisioni difformi nella giurisprudenza della sezione.

Il ricorso è stato, quindi, fissato per l’odierna udienza.

5. La ricorrente ha depositato memoria.

Considerato in diritto

1. Va preliminarmente dichiarata l’inammissibilità della memoria dell’Agenzia delle entrate, depositata il 10 maggio 2013, quindi oltre il termine stabilito dall’art. 378 cod. proc. civ.

2. Con l’unico motivo formulato, la ricorrente formula il quesito “se ha violato la legge n. 212/2000, art. 12, comma 7, la CTR di Palermo che ha ritenuto che la notifica dell’avviso di accertamento prima dello scadere del termine di sessanta giorni ne determini ipso iure la nullità”.

Su tale questione la giurisprudenza della quinta sezione ha dato luogo, come puntualmente rilevato nell’ordinanza di rimessione al Primo Presidente, ad orientamenti variegati.

In estrema sintesi, si è infatti ritenuto che l’avviso di accertamento emesso prima del decorso del termine di sessanta giorni previsto dalla norma in esame:

a) è in ogni caso valido, per il principio di tassatività delle nullità, “sanzione” non comminata dalla norma (e che, anzi, era prevista nel testo originario del disegno di legge e poi fu soppressa); per la natura vincolata dell’atto rispetto al verbale di constatazione sul quale si fonda; perché il contribuente ha comunque altri strumenti a disposizione (accertamento con adesione, istanza di autotutela, ecc.); perché è errato riferire la nullità al difetto di motivazione sull’urgenza, in quanto le norme sulla motivazione degli atti tributari attengono al contenuto della pretesa, non ai tempi di emanazione dell’atto; perché, infine, la nullità costituirebbe una conseguenza sproporzionata rispetto agli interessi costituzionali contrapposti (in tali sensi, sia pure con differenti sottolineature, cfr. Cass. nn. 19875 del 2008; 3988, 18906 – la quale, tuttavia, conclude in senso opposto, in ossequio all’orientamento all’epoca prevalente e quindi al criterio interpretativo della conformità ai precedenti – e 21103 del 2011; 16992 del 2012);

b) è invalido solo in assenza di motivazione dell’urgenza che ne ha determinato l’adozione ante tempus: tale indirizzo, in applicazione di quanto affermato da Corte cost. n. 244 del 2009, appunta, quindi, l’invalidità dell’atto al difetto di motivazione sulle ragioni dell’urgenza di provvedere, vizio sanzionato, in generale, dall’art. 21 septies della legge n. 241 del 1990 (introdotto dalla legge n. 15 del 2005) e, in materia tributaria, dall’art. 7 della legge n. 212 del 2000 e dal d.lgs. n. 32 del 2001 (Cass. nn. 22320 del 2010; 10381 e 14769 del 2011; 4687, 11347 e 16999 del 2012);

c) è invalido in mancanza di motivi di urgenza, poiché il mancato rispetto del termine sacrifica un diritto riconosciuto al contribuente, con conseguente illegittimità dell’accertamento, senza bisogno di specifica previsione (Cass. nn. 5652 e 6088 del 2011); in particolare, inoltre, poiché la norma impone un termine per l’esercizio dell’azione impositiva piuttosto che un obbligo di motivazione circa il requisito dell’urgenza (obbligo che non rientra nella previsione dell’art. 7 della legge n. 212 del 2000), l’esistenza di quest’ultimo opera ex se, senza che, ai fini dell’esonero dall’osservanza del termine, sia necessario che il fatto che determina l’urgenza sia enunciato nell’atto impositivo (Cass. n. 11944 del 2012).

3.1. L’art. 12 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente), rubricato Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, dispone, al comma 7, che: <Nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza. Per gli accertamenti e le verifiche aventi ad oggetto i diritti doganali di cui all’articolo 34 del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale approvato con il decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, si applicano le disposizioni dell’articolo 11 del decreto legislativo 8 novembre 1990, n. 374> (l’ultimo periodo è stato aggiunto dall’art. 92 del d.l. n. 1 del 2012, convertito in legge n. 27 del 2012).

La questione sottoposta all’esame delle sezioni unite consiste nello stabilire se l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio della propria attività (art. 12. comma 1), della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – costituisca, nel silenzio della norma, una mera irregolarità ” – sostanzialmente priva di conseguenze esterne, ovvero dia luogo, ad eccezione di casi di “particolare e motivata” urgenza, ad un vizio di legittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus, che può essere fatto valere dal contribuente al fine di ottenere, per ciò solo, in sede contenziosa, l’annullamento dell’atto stesso.

Il Collegio ritiene di dover adottare la seconda soluzione, per le ragioni e con le precisazioni che seguono.

3.2. Va, innanzitutto, attribuito il dovuto rilievo già al solo fatto che la norma in esame è inserita nello Statuto dei diritti del contribuente (legge n. 212 del 2000 cit.), il cui art. 1, com’è noto, stabilisce, al comma 1, che “le disposizioni della presente legge, in attuazione degli articoli 3, 23, 53 e 97 della Costituzione, costituiscono principi generali dell’ordinamento tributario e possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali”.

Anche se è consolidato il principio secondo il quale alle norme statutarie non può essere attribuito, nella gerarchia delle fonti, rango superiore alla legge ordinaria (e quindi esse non costituiscono, neppure come norme interposte, parametro idoneo a fondare il giudizio di legittimità costituzionale) (da ult., Corte cost. ord. n. 112 del 2013; Cass. nn. 8254 del 2009, 8145 del 2011), tuttavia alla specifica “clausola rafforzativa” di autoqualificazione delle disposizioni stesse come attuative delle norme costituzionali richiamate e come “principi generali dell’ordinamento tributario” non può non essere attribuito un preciso valore normativo: quest’ultima espressione, in particolare, e per quanto qui interessa, deve essere intesa nel significato di “principi generali del diritto, dell’azione amministrativa e dell’ordinamento tributari” e si riferisce evidentemente, in primo luogo, a quelle disposizioni statutarie che dettano norme volte ad assicurare la trasparenza e il buon andamento dell’attività amministrativa e ad orientare in senso garantistico tutta la prospettiva costituzionale del diritto tributario (Cass. n. 17576 del 2002). A buona parte di dette disposizioni va attribuito il ruolo di espressione di principi immanenti nell’ordinamento tributario, già prima dell’entrata in vigore dello Statuto, e quindi di criteri guida per orientare l’interprete nell’esegesi delle norme, anche anteriormente vigenti (oltre a Cass. n. 17576 del 2002, cit., cfr. Cass. nn. 7080 del 2004, 9407 del 2005, 21513 del 2006, 9308 del 2013).

3.3. Nell’ambito delle norme statutarie, l’art. 12 assume una rilevanza del tutto peculiare, in ragione del suo oggetto (Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali) e delle finalità perseguite.

L’incipit del comma 7, in particolare, nel richiamare il “rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente”, qualifica chiaramente la norma come espressiva dei principi di “collaborazione” e “buona fede”, i quali, ai sensi del precedente art. 10, comma 1, devono improntare i rapporti tra contribuente e fisco e vanno considerati (analogamente al principio di tutela dell’affidamento, più specificamente contemplato nel comma 2 dello stesso art. 10) quali diretta applicazione dei principi costituzionali di buon andamento e imparzialità dell’amministrazione (art. 97 Cost.), di capacità contributiva (art. 53) e di uguaglianza, intesa sotto il profilo della ragionevolezza (art. 3), e quindi, in definitiva, come fondamenti dello Stato di diritto e canoni di civiltà giuridica (cfr., tra le altre, oltre a quelle già indicate, Cass. nn. 24217 del 2008, 3559 e 25197 del 2009, 21070 del 2011,6627 del 2013).

La norma, poi, introduce nell’ordinamento una particolare e concreta forma di “collaborazione” tra amministrazione e contribuente, attraverso la previsione di un termine dilatorio di sessanta giorni dalla chiusura delle operazioni di verifica, prima della cui scadenza, e salvo le eccezioni di cui si dirà, l’atto impositivo – come la norma prescrive con espressione “forte” – “non può essere emanato”: tale intervallo temporale è destinato a favorire l’interlocuzione tra le parti anteriormente alla (eventuale) emissione del provvedimento, e cioè il contraddittorio procedimentale.

Quest’ultimo è andato assumendo, in giurisprudenza e in dottrina (e nella stessa legislazione), proprio con specifico riferimento alla materia tributaria, un valore sempre maggiore, quale strumento diretto non solo a garantire il contribuente, ma anche ad assicurare il migliore esercizio della potestà impositiva, il quale, nell’interesse anche dell’ente impositore, risulterà tanto più efficace, quanto più si rivelerà conformato ed adeguato – proprio in virtù del dialogo tra le parti, ove reso possibile – alla situazione del contribuente, con evidenti riflessi positivi anche in termini di deflazione del contenzioso (se non, ancor prima, nel senso di indurre l’amministrazione ad astenersi da pretese tributarie ritenute alfine infondate).

In ambito giurisprudenziale è sufficiente ricordare le seguenti pronunce:

a) Corte di giustizia dell’Unione europea, sentenza 18 dicembre 2008, in causa C-349/07, Sopropé, con la quale, sia pure in materia di tributi doganali, ma con evidenti riflessi di ordine generale, è stato valorizzato il principio della partecipazione del contribuente – il quale “deve essere messo in condizione di far valere le proprie osservazioni” – a procedimenti in base ai quali l’amministrazione si proponga di adottare nei suoi confronti un atto di natura lesiva;

b) Cass., sez. un., n. 26635 del 2009, con la quale, in materia di accertamento “standardizzato”, è stato affermato che “il contraddittorio deve ritenersi un elemento essenziale e imprescindibile (anche in assenza di una espressa previsione normativa) del giusto procedimento che legittima l’azione amministrativa” (la Corte è così pervenuta ad affermare la nullità – non esplicitamente comminata – degli avvisi di accertamento emessi con il metodo dei “parametri” o degli studi di settore, in assenza di previa attivazione del contraddittorio con il contribuente);

c) Cass. n. 28049 del 2009, nella quale, con riguardo alla norma che prevede l’invio di un questionario al contribuente sottoposto ad accertamento (art. 32, comma 1, n. 4, d.P.R. n. 600 del 1973), si afferma che essa, così come quella che prevede la comparizione personale del contribuente (art. 32, comma 1, n. 2),si prefigge “il meritorio scopo (…) di favorire il dialogo e l’intesa tra fisco e cittadino – rapporti che debbono essere <necessariamente improntati a lealtà, correttezza e collaborazione, in quanto siano in gioco obblighi di solidarietà come quello in materia tributaria> (C. cost, sent. n. 351/2000) – e di evitare, per quanto possibile, il ricorso a procedure contenziose”; nonché, recentemente, Cass. n. 453 del 2013, la quale, riprendendo il precedente ora citato, ha ritenuto, sulla base del “canone di lealtà” che trova fondamento negli artt. 6 e 10 dello Statuto del contribuente, che l’omissione dell’avvertimento – prescritto dalla norma a carico dell’Ufficio – in ordine alle conseguenze derivanti al contribuente dalla mancata risposta al questionario, e cioè l’inutilizzabilità in sede amministrativa e contenziosa di dati e notizie non addotti, comporta l’inoperatività di tale preclusione.

3.4. Le considerazioni sin qui svolte consentono di giungere ad una prima conclusione: l’inosservanza del termine dilatorio prescritto dal comma 7 dell’art. 12, in assenza di qualificate ragioni di urgenza, non può che determinare l’invalidità dell’avviso di accertamento emanato prematuramente, quale effetto del vizio del relativo procedimento, costituito dal non aver messo a disposizione del contribuente l’intero lasso di tempo previsto dalla legge per garantirgli la facoltà di partecipare al procedimento stesso, esprimendo le proprie osservazioni (che l’Ufficio è tenuto a valutare, come la norma prescrive), cioè di attivare, e coltivare, il contraddittorio procedimentale.

La” sanzione” della invalidità dell’atto conclusivo del procedimento, pur non espressamente prevista, deriva ineludibilmente dal sistema ordinamentale, comunitario e nazionale, nella quale la norma opera e, in particolare, dal rilievo che il vizio del procedimento si traduce, nella specie, in una divergenza dal modello normativo (non certo innocua o di lieve entità – non paragonabile, ad es., alla omessa indicazione del responsabile del procedimento, ora sanzionata ex lege da nullità per le cartelle di pagamento: Cass., sez. un., n. 11722 del 2010 -, bensì) di particolare gravità, in considerazione della rilevanza della funzione, di diretta derivazione da principi costituzionali, cui la norma stessa assolve – sopra delineata – e della forza impediente, rispetto al pieno svolgimento di tale funzione, che assume il fatto viziante.

A fronte di ciò, è vano addurre sia il preteso carattere “vincolato” dell’avviso di accertamento rispetto al verbale di constatazione sul quale si basa (tesi, almeno se riferita – per quanto qui interessa – al contenuto del provvedimento, chiaramente infondata), sia l’esistenza di ulteriori strumenti di tutela per il contribuente (istanza di autotutela, accertamento con adesione, ecc.), rilievo che, a prescindere dalle considerazioni attinenti al momento in cui tali mezzi sono esperibili, si rivela in ogni caso inidoneo ad escludere autonoma rilevanza alla portata precettiva della norma in esame.

4.1. Si tratta ora di precisare come opera, in relazione al vizio di legittimità dell’atto emesso ante tempus, la deroga prevista per i “casi di particolare e motivata urgenza”, in presenza dei quali l’Ufficio è esonerato dal rispetto del termine dilatorio. La norma, infatti, come detto, dopo aver stabilito l’obbligo dell’amministrazione, per le ragioni sopra ampiamente esposte, di attendere almeno sessanta giorni dalla fine delle operazioni di verifica prima di procedere all’emanazione dell’atto (obbligo, va rilevato, di agevole osservanza con l’uso della minima diligenza), ha, poi, adottando un bilanciamento del tutto ragionevole dei valori in campo, introdotto l’eccezione derivante dall’urgenza di provvedere.

4.2. Premesso che spetta all’interprete il compito di delineare l’oggetto e i confini di una ipotesi di invalidità introdotta per via ermeneutica, ritiene il Collegio di dover preferire l’orientamento che fa derivare l’illegittimità non già dalla mancanza, nell’atto notificato, della motivazione circa la ricorrenza di un caso di urgenza, bensì dalla non configurabilità, in fatto, del requisito dell’urgenza.

Deve, infatti, condividersi l’osservazione (presente in più pronunce di questa Corte, sopra citate, anche se poi pervenute ad esiti diversi) secondo cui l’obbligo di motivazione degli atti tributari, assistito da sanzione di nullità in caso di inottemperanza, è quello che ha ad oggetto il contenuto sostanziale della pretesa tributaria, cioè “i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche” che hanno determinato la decisione dell’amministrazione (art. 7, comma 1, dello Statuto, seguito, in relazione alle singole imposte, dal d.lgs. n. 32 del 2001), non essendo, invece, necessario dar conto, in quella sede (e, comunque, non a pena di invalidità, salvo eccezioni espresse), del rispetto di regole procedimentali, quali, come nella specie, quelle attinenti al tempo di emanazione del provvedimento: l’osservanza delle regole del procedimento, infatti, ove contestata, sarà oggetto di dibattito e di valutazione nelle sedi stabilite (amministrativa in caso di istanza di autotutela, contenziosa in caso di ricorso al giudice tributario).

Né, in senso contrario, è condivisibile la tesi secondo la quale, nella norma in esame, la motivazione dell’urgenza è esplicitamente prescritta.

In primo luogo, l’espressione “salvo casi di particolare e motivata urgenza” non appare in sé decisiva, poiché non individua con certezza nell’atto impositivo la (unica) sede in cui la “motivata urgenza” deve essere addotta dall’Ufficio: l’uso del termine “motivata” non implica, infatti, necessariamente il richiamo alla motivazione dell’avviso di accertamento.

In secondo luogo, e comunque, deve ritenersi che risponda a criteri di equilibrio degli interessi coinvolti e di ragionevolezza far dipendere la validità o meno dell’atto emesso ante tempus dalla sussistenza o meno, nella realtà giuridico-fattuale, del requisito dell’urgenza, anziché dalla circostanza (avente valore del tutto secondario) che tale requisito sia, o no, enunciato nell’atto: ciò che conta, in definitiva, ai fini dell’esonero dell’Ufficio dall’osservanza del termine dilatorio, è unicamente il fatto che la particolare urgenza di provvedere effettivamente nella fattispecie vi sia stata.

Ne deriva che la questione si sposta in sede contenziosa, nel senso che, a fronte di un avviso di accertamento emesso prima della scadenza del termine de quo e privo dell’enunciazione dei motivi di urgenza che lo legittimano, il contribuente potrà, ove lo ritenga, anche limitarsi ad impugnarlo per il solo vizio della violazione del termine (cfr. Cass., sez. un., nn. 16412 del 2007 e 5791 del 2008, in tema di mancato rispetto della sequenza procedimentale prevista per la formazione della pretesa tributaria): spetterà, quindi, all’Ufficio l’onere di provare la sussistenza (all’epoca) del requisito esonerativo dal rispetto del termine e, dunque, in definitiva, al giudice, a seguito del dibattito processuale (e senza, perciò, che il contribuente subisca alcuna menomazione del diritto di difesa), stabilire l’esistenza di una valida e “particolare” – cioè specificamente riferita al contribuente e al rapporto tributario in questione – ragione di urgenza, idonea a giustificare l’anticipazione dell’emissione del provvedimento.

In conclusione, deve essere enunciato il seguente principio di diritto: <In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212, deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, la illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva. Il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito (esonerativo dall’osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’Ufficio.

In applicazione dell’anzidetto principio, il ricorso dell’Agenzia delle entrate deve essere rigettato.

Come detto in narrativa, infatti, il giudice di merito ha accertato che nella specie l’emanazione anticipata dell’atto impugnato non è stata sorretta da validi motivi di urgenza, mai addotti dall’Ufficio.

7. L’esistenza del contrasto giurisprudenziale che ha dato luogo all’intervento delle sezioni unite induce a disporre la compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e compensa le spese.

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